La diaspora degli intellettuali provenienti da Costantinopoli, dopo la conquista degli Ottomani, portò in Italia nel primo rinascimento grandi personalità del mondo greco-bizantino, che insegnarono a Venezia, Firenze, Ferrara, Napoli e Milano. Si diffuse la conoscenza del greco e degli studi umanistici, grazie anche alle famiglie potenti dei Medici a Firenze, dei Malatesta a Rimini, degli Este a Ferrara, degli Sforza a Milano, dei Gonzaga a Mantova, dei duchi di Montefeltro a Urbino, dei nobili veneziani, della corte papale a Roma e dei d’Aragona a Napoli.
Il rinnovamento culturale e scientifico iniziò negli ultimi decenni del XIV secolo e nei primi del XV secolo a Firenze e affondava le radici nella riscoperta dei classici, iniziata già nel Trecento da Francesco Petrarca e altri eruditi. Nelle loro opere l’uomo incominciò a essere l’argomento centrale accanto a Dio (il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio ne sono un chiaro esempio).
In città, in concomitanza con una fioritura economica, per quanto effimera, e con alcuni successi militari e politici, si aprì durante il primo rinascimento una stagione in cui i legami con le origini romane, per altro mai venute meno, vennero rinsaldati e produssero un linguaggio figurativo radicalmente diverso da quello allora preponderante del gotico internazionale. Nel campo delle arti visive vissero contemporaneamente in città tre grandissimi maestri che rinnovarono in maniera irreversibile i linguaggi dell’architettura, della pittura e della scultura, rispettivamente Filippo Brunelleschi, Masaccio e Donatello. Il cambiamento artistico non fu altro che un indicatore del cambiamento dei tempi e della mentalità.
È sbagliato però immaginare un’avanzata trionfante del linguaggio rinascimentale che procede contro una cultura sclerotica e morente, come impostato da una storiografia ormai sorpassata: il tardo gotico fu un linguaggio vivo come non mai, che in alcuni paesi venne apprezzato ben oltre il XV secolo, e la nuova proposta fiorentina fu all’inizio solo un’alternativa di netta minoranza, inascoltata e incompresa nella stessa Firenze per almeno un ventennio, come dimostra ad esempio il successo in quegli anni di artisti come Gentile da Fabriano o Lorenzo Ghiberti.