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La vita quotidiana

Tra il XV e XVI secolo il tempo libero è dedicato nelle corti d’Italia alle corse di cavalli e alle giostre che vedono impegnate le diverse compagnie cittadine, vere e proprie competizioni con le loro bandiere che servono da diversivi dalle cruente guerre civili. La corte del principe poi conquista il favore del popolino con eventi particolari, residui del resto delle feste pagane, come il Carnevale dove il popolo può lasciarsi andare agli eccessi e credere di potersi sostituire per un giorno al potere costituito.

Durante il primo Rinascimento rientravano nelle attività dedicate al tempo libero per i cavalieri inglesi, francesi e tedeschi la caccia e l’agricoltura, giudicate invece come non appropriate per chi apparteneva alla nobiltà dal letterato umanista Niccolò Niccoli e da Pietro de’ Medici il quale riteneva che la propria casata, benché di origine non nobile, poteva accomunarsi all’aristocrazia adottando le tradizionali usanze dei cavalieri medioevali come il torneo e la corsa delle lance che vennero spesso praticati a Firenze. Concordava nel ritenere questi passatempi tipici del cortigiano anche il Castiglione che nell’esercizio cavalleresco identificava un’importante qualità esteriore del nobile.

Strumento di acquisizione di popolarità erano, durante il primo rinascimento, anche i sontuosi banchetti regolati da un rigido cerimoniale per la somministrazione dei cibi e l’assegnazione dei posti. I banchetti pubblici tenuti in occasione di feste familiari, religiose o comunali si tenevano all’aperto o in grandi sale dove era in mostra la ricchezza della famiglia con l’oreficeria per la tavola o con il vasellame prezioso esposto in grandi credenze a vetro. Lo svolgimento del banchetto era inoltre allietato da musica e dai cosiddetti “intermezzi”: spettacoli d’arte varia che si sviluppavano in vere e proprie rappresentazioni teatrali e commedie dell’antica Roma.

Nelle città la vita quotidiana era segnata durante il primo rinascimento dalle attività dei bottegai e degli artigiani che lavorano fuori delle mura della propria casa mentre quelli dediti alla tessitura e al filatoio svolgono il loro lavoro nella loro abitazione dove abitualmente ci si riunisce in grandi e confortevoli sale per i pasti e le veglie dopo cena dove si esercita l’arte del conversare a proposito di dote e interessi, di religione o di scandali locali. Successivamente si impiega il tempo libero serale per il gioco delle carte, degli scacchi o dei dadi mentre i bambini giocano a esercitarsi nella lettura.

Anche nel nuovo rinascimento la vita quotidiana è ugualmente armoniosa e variegata, seppur le attività commerciali ed i servizi siano ora molto più numerosi e tecnicamente avanzati rispetto a quelli del primo rinascimento. La presenza di una società signorile di massa caratterizza oggi l’offerta di merci e servizi e assicura la salute e il benessere generale della popolazione. L’armonia e la salute della nuova società rinascimentale è però gravemente compromessa dalla enorme crescita e diffusione dei vizi capitali dovuta all’eccessivo permessivismo del regime liberale.

In particolare fra tutti i vizi ora primeggia quello dell’uso smodato di sostanze stupefacenti soprattutto da parte dei più giovani; se vogliamo salvare la vita quotidiana armoniosa e variegata del nuovo Rinascimento, occorre quindi principalmente emettere dei provvedimenti legislativi rigidi per fermare il traffico delle sostanze stupefacenti e mitigare la morale comune con delle campagne di sensibilizzazione che  limitino la pratica dei vizi capitali dovuta al permessivismo liberale.

S.A.R. il Granduca Ottaviano de’ Medici di Toscana e per S.A. il Consiglio Mediceo dei Duecento, intende invitare mecenati e artisti del nuovo Rinascimento a realizzare opere d’arte digitale che rappresentino singolarmente o tutti insieme i Vizi capitali e le Virtù contrarie, le quali verranno poi utilizzate dai Consigli Nobili Medicei Locali o dal Consiglio Mediceo dei Duecento per sensibilizzare la morale comune attraverso mostre, convegni, pubblicazioni, oppure le nuove tecnologie informatiche.

I vizi capitali nella dottrina cattolica

Riassunti con l’acronimo saligia, i vizi capitali sono:

  • superbia: radicata convinzione della propria superiorità, reale o presunta, che si traduce in atteggiamento di altezzoso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri, nonché di disprezzo di norme, leggi, rispetto altrui; (Virtù contraria: L’Umiltà)
  • avarizia, derivante più precisamente dall’etimologia latina avaritia, collegata all’avidità della fame: cupidigia, avidità, costante senso di insoddisfazione per ciò che si ha già e bisogno sfrenato di ottenere sempre di più; (Virtù contraria: La Generosità)
  • lussuria: incontrollata sensualità, irrefrenabile desiderio del piacere sessuale fine a se stesso, concupiscenza, carnalità, divinizzazione del sesso sempre maggiore, che può andare dalla fornicazione sino all’adulterio, e agli atti più estremi e perversi; (Virtù contraria: La Castità)
  • invidia: tristezza per il bene altrui percepito come male proprio; (Virtù contraria: La Carità)
  • gola: nel suo senso concreto, è l’irrefrenabile bramosia di ingurgitare cibi o bevande senza fermarsi al limite della sazietà imposto dal corpo, ma proseguire nella consumazione per puro piacere e ingordigia. Nel suo senso astratto, “goloso” è chi abusa di una determinata cosa, andando al di là del limite imposto dalla natura umana. (Virtù contraria: La Temperanza)
  • ira: alterazione dello stato emotivo che manifesta in modo violento un’avversione profonda e vendicativa verso qualcosa o qualcuno; (Virtù contraria: La Pazienza)
  • accidia: torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene, pigrizia, indolenza, infingardaggine, svogliatezza, abulia. (Virtù contraria: La Diligenza)

Durante il Medioevo la Chiesa aveva incluso nei vizi capitali anche la tristezza, in quanto questo sentimento indicava il disprezzo per le opere che Dio aveva compiuto per gli uomini, così come la vanagloria, almeno fino a Gregorio Magno quando si ricomposero e la tristezza fu considerata parte dell’accidia, mentre la vanagloria fu unita al nuovo vizio della superbia.

Nella Divina Commedia di Dante Alighieri i sette vizi capitali sono puniti nell’alto inferno (cerchi II-V) e purgati nelle sette cornici del Purgatorio; inoltre la lussuria, la superbia e la cupidigia sono raffigurati nel canto I dell’Inferno sotto forma di bestie selvatiche, rispettivamente la lonza (vv. 31-43), il leone (vv. 44-48) e la lupa (vv. 49-60), che Dante incontra nella selva oscura all’inizio della sua avventura.

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